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Archeosperimentare in Sardegna, II edizione

Il 30 maggio, a S’Irighinzu sul Lago Omodeo (Ardauli – Or) si terrà la seconda edizione del meeting aperto a tutti ARCHEOSPERIMENTARE – Strategie di valorizzazione del Territorio e dell’identità culturale tramite la didattica delle Tecnologie Primitive. Per la seconda volta, il team di Paleoworking Sardegna di Ardauli presenterà laboratori di tecnologie ormai dimenticate e progetti sperimentali di ricerca, nella splendida cornice del Lago Omodeo

Ricostruire una freccia preistorica, un arco medievale, una cuspide in selce per tanti significa “fare archeologia sperimentale”. Ma stiamo attenti: cosa differenzia un appassionato re-enactment da un lavoro scientifico? O meglio, quale è le linea di confine che separa la confusione dal tentativo di far tesoro del nostro passato e cercare di carpirne i segreti?
Nell’archeologia la sperimentazione è difficilissima. Le scienze fisiche sperimentali tout court hanno protocolli scolpiti nel granito, percorsi che tutto sommato risultano più semplificati. La variabile comportamentale umana gioca un ruolo talmente preponderante nell’analisi sperimentale archeologica che a confronto leptoni, quark e onde gravitazionali sono soggetti malleabili da un punto di vista “sperimentale”. Purtroppo questa variabile comportamentale sfugge da qualsiasi possibilità di indagine conoscitiva seria.

Punte di freccia lavorate durante le sessioni di archeologia sperimentale
L’indagine sulle nostre origini e della nostra evoluzione è un sottomistero molto particolare di quello immanente della nascita dell’universo, e con esso, dal punto di vista speculativo, ha un legame indissolubile. L’astrofisico non potrà mai costruire una stella in laboratorio e sottoporla ad esperimenti, e pure l’archeologo non potrà padroneggiare completamente i fenomeni di studio per via dell’enorme quantità di variabili in gioco, impossibilitato ad “assistere in diretta al fenomeno” che cerca di spiegare.
Nella cosmologia e nell’archeologia, non è sempre possibile applicare rigorosamente il metodo scientifico empirico, galileiano , o sperimentale che dir si voglia… comunque lo si deve considerare come “principio ispiratore” per qualsiasi indagine convergente alla realizzazione di un “modello”

, e quindi mai andare in contrasto con esso. Questo per una qualità di lavoro e di linguaggio comune che fissa dei punti di riferimento solidi, gli unici che permettono progressi nelle scienze.

La storia della sperimentazione in archeologia, soprattutto qui in Italia, è breve, forse neanche è appropriato parlare di storia ma ad una sua più lecita leggenda. Dal mondo accademico è da poco che se ne sente parlare – non sottovoce.
L’archeologia sperimentale è un ambito conosciuto – ma non troppo – delle scienze archeologiche. O meglio, conosciuto da tutti ma non sfruttato sistematicamente né tenuto nell’opportuna considerazione (opinione personale dell’autore ma condivisa da molti altri) nella ricerca e nel mondo accademico italiano. Questo probabilmente è dovuto ad una serie di cause concatenate, non ultime il fatto che è una disciplina molto complessa, all’università non la si “studia” (la quasi totalità delle Facoltà che si occupano di archeologia è di netta connotazione umanistica, non scientifica – e spesso si “pasticcia” sopra) e che chi ufficialmente (o professionalmente) se ne veste i panni, il più delle volte la presenta in un modo pittoresco, dilettantesco, spesso fuorviante e approssimativo. L’Italia, come al solito, rimane il fanalino di coda della ricerca, anche in questo campo. Europa del nord e Stati Uniti utilizzano la sperimentazione in modo consueto come strumento di studio e verifica, e lo fanno da parecchio.
In verità in questi ultimi anni qualche realtà accademica italiana ha speso tempo e denari nell’affrontare le tematiche sperimentali, utilizza sperimentatori abili e cerca di affermare il metodo come integrazione e supporto ai programmi di ricerca, anche se la domanda (in termini di studenti che desidererebbero avvicinarsi) non è proporzionalmente supportata dall’offerta formativa e non esiste ancora una opportuna strutturazione nel coordinamento dei compiti.

Si è assistito in passato alla sperimentazione di qualche archeologo che, intuendo giustamente in questo una via d’indagine interessante, si improvvisava lui stesso vasaio, vetraio, fabbro, scheggiatore, pescatore, cacciatore… deducendo dalle sue esperienze dirette, spesso maldestre, indicazioni comunque “pubblicabili” per via della loro indubbia originalità; questa piccola presunzione ha reso purtroppo un cattivo servizio al progredire delle conoscenze, per via di alcune conclusioni affrettate, discutibili, ma comunque divenute famose e prese come assunto.

Nel 2009 la nostra associazione (Paleoworking Sardegna, nata nel 2005) ha cercato di proporre, almeno verso gli studiosi isolani, un lessico comune. Nel manifesto da noi presentato al XLV convegno dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, tenutosi a Cagliari il Novembre scorso. Su di esso viene descritto il compito dell’Archeologo sperimentale, e i compiti dell’archeotecnico che svolge presentazioni spettacolari di fronte al pubblico. Si dovrebbe dimostrare solo quello che si è studiato, e nel farlo, presentare il “contesto di riferimento” nel modo più corretto ed onesto. La didattica dell’archeologia avrebbe, in questo modo, un aiuto formidabile.

A S’Irighinzu, il 30 Maggio, la seconda edizione di ARCHEOSPERIMENTARE, che si sviluppa sul tema “Natura”, cerca di fare il punto su alcuni precisi obiettivi che vedono le materie prime – siano esse animali, vegetali o minerali – del nostro territorio, quali elementi permeanti e unificanti di un discorso sul nostro passato. Ad esempio, sono ormai diversi anni che i nostri studi sperimentali sono rivolti al materiale litico rinvenuto nel sito di S. Vittoria, che ricade attualmente all’interno dell’Oasi Naturalistica di Assai, al confine tra Neoneli e Nughedu S. Vittoria, di pertinenza dell’Ente Foreste della Sardegna. Si tratta principalmente di strumenti in ossidiana del Monte Arci, legati alle attività di caccia che si svolgevano in quel territorio: punte di freccia, raschiatoi, grattatoi. L’elevato numero di reperti rinvenuti in superficie ci fa comprendere come quei luoghi rivestissero una notevole importanza fin dall’epoca Preistorica. La caccia in questi luoghi rivestiva una notevole importanza, e gli studi in corso lo dimostrano. L’altro interessante tema che verrà affrontato nell’ambito della manifestazione, legato anch’esso, indissolubilmente, alla natura e allo sviluppo antropico, riguarda la catena operativa di produzione dell’olio di lentischio, prassi ben note ai nostri nonni che le hanno tramandate fino a noi. Le sue proprietà e svariate applicazioni erano sicuramente note fin dalla Preistoria. Ancora, la straordinaria ricchezza di domus de janas dipinte presenti nel territorio del Barigadu, ci ha spinto ad investigare le caratteristiche geologiche e petrografiche delle rocce che le ospitano, al fine di trovare una possibile via interpretativa sulle dinamiche di escavazione. Ricordiamo infatti che, in un’epoca in cui non esistevano strumenti metallici sufficientemente efficaci, solo strumenti in pietra potevano essere utilizzati per la loro escavazione.

Il contesto preistorico del Barigadu, presentando laboratori attinenti la sua preistoria ed etnografia, sarà dunque il grande protagonista dell’evento!

Per informazioni:
Cinzia Loi loic@tiscali.it
Cell. 347 5150191
www.paleoworkingsardegna.org

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