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venerdì, 19 Aprile 2024

[L’avvocato risponde] Disconoscimento della paternità e fecondazione eterologa

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Prosegue la nostra rubrica L’avvocato risponde sulle nostre pagine. Vi ricordiamo che potete scrivere alla nostra redazione mandando una e-mail all’indirizzo redazione@sangavinomonreale.net per porre le vostre domande al nostro avvocato.

Oggi rivolgiamo al nostro avvocato una domanda su un tema molto delicato.

Avvocato, ci può spiegare in quali casi può essere ammesso il disconoscimento della paternità, se la coppia ricorre alla fecondazione eterologa?

L'Avvocato risponde
L’Avvocato risponde

DISCONOSCIMENTO DELLA PATERNITÀ

Fecondazione eterologa: è ammesso il disconoscimento entro un anno per il padre inconsapevole.

Corte di cassazione – Sezione I civile – Sentenza 11 luglio 2012 n. 11644

Nel caso in cui la fecondazione eterologa sia avvenuta all’insaputa del marito, è ammessa l’azione di disconoscimento della paternità, a condizione che avvenga nel termine di un anno dal momento in cui si sia venuti a conoscenza del ricorso a tale metodo di procreazione. Così ha stabilito recentemente la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 11644/2012, nel rigettare il ricorso di un padre che lamentava di aver scoperto solo dopo un lungo lasso di tempo dalla nascita della figlia di non esserne il genitore naturale.

Il caso in questione era quello di una coppia che, non potendo avere figli, aveva iniziato a sottoporsi ad una serie di pratiche di inseminazione artificiale omologa, ma senza alcun esito positivo. Quando poi, dopo un certo periodo di tempo, la moglie rimase comunque incinta, il marito era convinto che il concepimento fosse avvenuto per ragioni naturali, nonché di essere il padre. Successivamente alla nascita della bambina tuttavia, iniziò a sospettare di non esserne il padre biologico: quindi decise di effettuare una serie di ulteriori accertamenti sanitari che si conclusero con un responso di “gravissima infertilità”. Sulla base di tale esito era partita l’azione di disconoscimento.

Tuttavia la moglie invece evidenziava come, dopo i primi insuccessi, avessero deciso e quindi si fossero concordemente sottoposti ad un programma di fecondazione eterologa. Risulta accertato dal giudice di merito, in modo non censurabile dalla Cassazione (anche in virtù della prova testimoniale del padre della donna), come già dalla primavera del 2005 il ricorrente fosse venuto a conoscenza della fecondazione con donatore da parte delle moglie, mentre l’azione di disconoscimento fosse partita soltanto nel gennaio 2007: evidentemente ben oltre l’anno previsto dai termini di legge.

Con una articolata sentenza la Suprema Corte ripercorre le principali pronunce di merito per concludere che, anche grazie ai mutamenti del sentire sociale, si è andata progressivamente affermando una sorte di primazia del “favor veritatis” sulla necessità di dare una legittimazione certa ai figli. In Italia, ricorda la Corte, la legge N. 40 del 2004 vieta la fecondazione eterologa, prevedendo però nei casi in cui vi si ricorra ugualmente il divieto di esercitare l’azione di disconoscimento quando anche per “atti concludenti” sia dimostrabile l’assenso del padre. In tutte le altre ipotesi, dunque, l’azione è ammissibile, andando così ad arricchire il quadro normativo che prevedeva in costanza di matrimonio ipotesi tassative in cui si poteva esercitare il disconoscimento (articolo 235 del cc): assenza di coabitazione, impotenza e adulterio.

Concludendo, viene evidenziato in un passaggio molto rilevante, come in tal modo il novero dei soggetti legittimati all’esercizio dell’azione venga ampliato, includendovi anche il figlio, il quale, “certamente è estraneo al consenso eventualmente prestato dal genitore”, ed “è portatore di un interesse alla verità biologica che deve considerarsi meritevole di tutela”.
Individuata, quindi, la nuova fattispecie “stante l’identità della ratio”, i Giudici ritengono come essa non possa che raccordarsi alle ipotesi decadenze già previste dal Codice (art. 244): questo, conclude la Suprema Corte, in riferimento “al momento in cui si sia acquisita la certezza del ricorso a tale metodo di procreazione”, “soprattutto nei casi, come quello in esame, in cui non risulti un consenso preventivo del coniuge all’inseminazione”.

Fabio Marrocu

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