La storia è la seguente. A San Gavino Monreale c’era un campanile che rischiava di crollare. Bisognava buttarlo giù e rifarlo. Rifarlo come? Come l’altro. Ovvio. Bastava prendere un geometra qualunque, anche un po’ scimunito, e chiedergli di fare una copia. Uguale e nello stesso punto. Tanto più che il vecchio campanile era del seicento e, sebbene non sia mai stato citato nei testi di storia dell’arte, era in tono con la facciata della chiesa.
Per una faccenda di soldi, che non c’erano, il campanile fu rifatto dopo la guerra. In un altro punto e diverso. Mi immagino i nuovi amministratori che guardano il progetto di qualche anno prima. “Bah, roba fascista!”
Lo rifecero così diverso, ma così diverso, che è un miracolo che abbiano fatto un campanile e non un granaio.
Il resto è storia degli ultimi decenni. Presi dai rimorsi, immagino, il campanile è stato rifatto diverse volte, e ogni volta più simile al progetto originale. Se tutto va bene, un giorno lo rifaranno uguale al campanile seicentesco. E avranno speso come per la costruzione di un castello.
L’unica chiesa di San Gavino ad avere una torre campanaria era la chiesa di Santa Chiara. La chiesa di Santa Teresa, l’altra chiesa con un campanile, è stata messa su tra la fine degli anni sessanta e l’inizio del decennio seguente. La chiesa di Santa Lucia, a fianco al convento francescano, ha un piccolo campanile a bandiera. Così anche la chiesa di San Gavino Martire, e anche la chiesa di Santa Croce e la vecchia chiesa di Santa Severa. Non so la nuova. Per quanto ne so, prima che costruissero le ciminiere della fonderia, il campanile di Santa Chiara, e la scuola elementare alla sua sinistra, erano l’unico segno evidente di San Gavino contro l’orizzonte.
Questo campanile ora minacciava di venire giù. Aveva qualche secolo, dopotutto.
L’undici agosto 1931, il prefetto mandò una circolare al comune. Chiedeva di indicare alcune opere pubbliche urgenti. Il podestà rispose il giorno di ferragosto e disse che c’era il campanile della chiesa parrocchiale che stava crollando. Buttarlo giù e rifarlo era un’opera pubblica urgente. Il pericolo era imminente:
“Il campanile della Chiesa Parrocchiale minaccia seriamente rovina, dando la sensazione a chi lo vede di dover crollare da un momento all’altro.”
La sua caduta sarebbe stata una disgrazia:
Un anno e mezzo prima, l’undici febbraio 1930, nel vicino paese di Serrenti era crollato il campanile della chiesa parrocchiale. Nessuno era rimasto sotto le macerie, ma il campanile aveva buttato giù il municipio, la facciata della chiesa e il fonte battesimale. La memoria della tragedia doveva avere un ascendente terribile sugli uomini del tempo. Il segretario comunale, che aveva l’ufficio proprio dove il campanile proiettava l’ombra tra le sette e mezzo e le nove del mattino, ricorda il fatto con una frase dalla grammatica incerta, come se fosse ancora sotto choc per la notizia:
“Il crollo del campanile di Serrenti e conseguenti danni al Municipio ed alle Scuole, serve di ammonizione ed a mettere in guardia questo Comune per non capitare la stessa disgrazia.”
Un particolare sinistro di questa vicenda è che il campanile crollato a Serrenti era molto simile a quello di Santa Chiara.
Il podestà scrisse al prefetto. Nella lettera, parlò di una proposta di baratto tra il comune e il parroco:
“Trasmetto a V. E. due copie della deliberazione in data 15 agosto 1931, N. 107, e prego vivamente di volerla prendere in speciale considerazione, avendo questo Parroco, Canonico Severino Tomasi, promesso la donazione del grande fabbricato attualmente adibito ad Asilo Infantile, qualora il Provveditorato alle Opere Pubbliche eseguisca i lavori urgenti nella nostra Chiesa Parrocchiale.”
Il comune, aggiunse il podestà, avrebbe guadagnato doppiamente:
“Con la esecuzione dei lavori della Chiesa il Comune risolve due importanti problemi: 1º quello di evitare una grave disgrazia che potrebbe capitare col crollo del campanile che minaccia rovina; 2º quello di dare all’Asilo Infantile una bellissima sede, di valore non indifferente, che costituirà il patrimonio base per la erezione dell’Asilo stesso in Ente Morale.”
Nella delibera, però, il podestà parlò anche di una facciata da rifare:
“È… necessario ed urgente chiedere l’intervento del Provveditorato alle OO. PP. (opere pubbliche, es) della Sardegna per la demolizione e ricostruzione del campanile e della facciata principale della Chiesa Parrocchiale.”
Cosa c’entrava la facciata? Era il campanile che stava per crollare, non la facciata. Ovviamente, il campanile poteva ben cadere sulla facciata, ma non vai a fasciarti la testa prima di averla rotta. Ovviamente, neanche volevano aspettare che cadesse. Volevano aiutarlo a cadere in serenità.
Comunque fosse, il campanile andò e la facciata rimase. La ricostruzione del campanile, però, arrivò solo vent’anni dopo. Non c’erano soldi. C’era stata la guerra. Dovevano ricostruire.
Nel 1956 ricostruirono il campanile. In un punto diverso e con un disegno stravolto. Non so perché. Vedi una foto di quegli anni e pensi ad un fotomontaggio di cattivo gusto. Negli anni ottanta, presi dai rimorsi, decisero di rifare il campanile ricostruito. Qualche anno dopo ci fu il rifacimento del rifacimento. Ottant’anni dopo la demolizione, il campanile comincia vagamente ad assumere l’aspetto di quello originale. Ottant’anni dopo.
Fonte: Enrico Sanna, De Campanilibus Disputandum Est