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giovedì, 25 Aprile 2024

Bullismo: ma siete mai andati alle Scuole Medie?

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Nelle ultime ore ha “spopolato” su Facebook l’ennesimo video che riprende un episodio di bullismo tra giovanissimi studenti di un istituto superiore della Provincia di Cagliari. Nel video si può vedere come una ragazza venga insultata, umiliata e schiaffeggiata di fronte a decine di compagni di scuola, che si limitano a ridere senza intervenire. Qualcuno riprende la scena e infine la pubblica sui social, facendola diventare “virale”.

Bullismo: ma siete mai andati alle Scuole Medie?
Bullismo: ma siete mai andati alle Scuole Medie?

E così, da un’umiliazione becera e deprecabile limitata a qualche decina di ragazzini, il caso è diventato di portata regionale e il video è stato acquisito dai Carabinieri.

La storia potrebbe anche finire qui.

E invece questo episodio (che non è di certo il primo negli ultimi anni di condivisione selvaggia sui social) merita un’attenzione particolare, perché la condivisione non si è limitata ai ragazzini, ma la maggior parte delle condivisioni è stata da parte di persone “indignate” e scandalizzate per i comportamenti delle nuove generazioni. La retorica più frequente è “dove andremo a finire?” e riflessioni sull’assenza di valori dei giovani d’oggi.

Ma è davvero così?

Forse no. Forse la differenza tra ieri e oggi non è così marcata. Sembra che tutti gli “adulti”, che tutti i genitori del 2016 abbiano dimenticato cosa succedeva nel piazzale di scuola (alle Scuole Medie, soprattutto) tra i ragazzi. Sembra che vi siate scordati delle urla “Rissa! Colpi!” e dei capannelli di persone attorno ai due contendenti. Al centro del cerchio solitamente c’era un bullo… e uno che le prendeva. E sembra che tutti abbiano dimenticato la salva di fischi che ricopriva lo sventurato che “cadeva”, messo spalle a terra dall’energumeno di turno.

Sinceramente erano pochissimi i casi in cui qualcuno interveniva a sedare la rissa: tutti erano troppo impauriti di finire al centro del cerchio, di subire l’onta dell’umiliazione, di farsi sporcare o rompere i vestiti, di dover tornare a casa con gli occhi bassi e la morte nel cuore.

Pochi – forse nessuno – di quelli che oggi scrivono “Vergogna! Ma dove andremo a finire!” ha mai avuto quel coraggio. Pensateci e tornate indietro con la memoria e cercate un episodio in cui vi siate presi il rischio di prenderle al posto di un altro, che magari non era nemmeno vostro amico. Suvvia, non siamo ipocriti, queste cose sono sempre successe e sempre accadranno, tra i ragazzini.

La differenza è solo tecnologica!

Trenta anni fa – quando i 40enni indignati di oggi andavano a scuola – non c’erano gli smartphone a riprendere qualsiasi cosa accadesse dentro e fuori dalle aule scolastiche. L’umiliazione restava lì, circoscritta ai presenti, e viaggiava di bocca in bocca con racconti (spesso ingigantiti) che restavano sospesi sempre tra mito e realtà. Ora restano le prove “schiaccianti” a carico di chi ha subito l’umiliazione pubblica, e le condivisioni tra i ragazzi fanno più male degli schiaffi ricevuti.

E i genitori che condividono (in buona fede) il video sulle proprie bacheche, si rendono complici della pubblica gogna.

Non si mette in dubbio la voglia di sensibilizzare, di esprimere disappunto, di cercare di dire “Che orrore, io non sono così!”, di esorcizzare la paura che capiti ai nostri figli. Ma la realtà è che si sta contribuendo a mettere sulla graticola i protagonisti del video. La vittima, perché dovrà convivere con la consapevolezza che migliaia di persone hanno assistito alla sua umiliazione, e anche il “carnefice” che, ricordiamolo, è comunque un minorenne che non andrebbe messo all’indice dei mostri ma educato e reinserito nella società civile.

Insomma, prima di condividere e di indignarsi, è il caso di riflettere bene sulla conseguenza delle nostre azioni.

Si è tanto parlato nelle settimane scorse di suicidi in seguito a umiliazioni su Whatsapp e sui social network, ma pare che dopo una settimana tutti se ne siano già scordati.

Ricordiamoci delle Scuole Medie. Pensiamo quale erano le nostre azioni. Ricordiamoci cosa significava finire “dentro al cerchio” insieme a un bullo. E contiamo fino a 100, se necessario, prima di premere il tasto “Condividi”. Piuttosto, guardiamo il video insieme ai nostri figli, e insegniamo loro come difendersi dai prepotenti e a difendere i più deboli (correndo il rischio di affrontare un bullo con tutte le conseguenze): se uno, due, dieci ragazzini educati si frapponessero tra il bullo e la vittima, questi episodi forse smetterebbero di accadere.

Ma da genitori siamo davvero pronti a dare una lezione del genere ai nostri figli?

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