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venerdì, 25 Aprile 2025

Gonnosfanadiga, 29 marzo 1985: un paese in lutto. Il ricordo di una tragedia mai dimenticata

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Era il pomeriggio del 29 marzo 1985 quando, a Gonnosfanadiga, calò un silenzio irreale. La notizia si diffuse in fretta, come un’ombra che avvolgeva il paese: un grave incidente aveva spezzato quattro vite lungo la strada tra Villasor e Gonnosfanadiga, nel tratto noto come S’Acqua Cotta.

Un furgone, per cause mai del tutto chiarite, invase la corsia opposta proprio mentre transitava un pulmino a noleggio. L’impatto fu devastante. In un attimo, il viaggio di dodici persone si trasformò in una tragedia che lasciò un segno indelebile nella comunità. Quattro di loro non fecero ritorno a casa: Mario Pinna, autista di 39 anni, padre di due figli; Augusta Melis, 40 anni, madre di tre figli; Barbarina Sardu, 41 anni, madre di due figli; e Carmelina Onnis, 65 anni. I feriti vennero trasportati d’urgenza all’ospedale di San Gavino, mentre le salme furono composte nel cimitero di Villacidro.

Quel giorno, il dolore si insinuò in ogni casa, in ogni strada, nei cuori di un paese intero. La notizia rimbalzava di bocca in bocca, tra lacrime e incredulità. Il venerdì che precedeva la Domenica delle Palme si era tinto di lutto. E quella stessa domenica, sotto un sole cocente e impietoso, quasi settemila persone seguirono il corteo funebre. La chiesa del Sacro Cuore era troppo piccola per contenere il dolore immenso della comunità: le quattro bare furono stese a terra, in un silenzio carico di strazio. Il paese non viveva una tragedia simile dal bombardamento del 1943, e ancora una volta si strinse forte attorno alle famiglie colpite, a quei bambini che avevano perso un genitore, a un dolore che apparteneva a tutti.

L’intera comunità accompagnò le salme fino all’ultimo saluto, in un corteo infinito di volti sconvolti, di mani intrecciate, di abbracci silenziosi. Il silenzio, quella volta, era più assordante di qualsiasi parola.

Sono trascorsi quarant’anni, ma il ricordo di quella tragedia non si è mai affievolito. Il tempo ha continuato il suo corso, le strade sono cambiate, le generazioni si sono susseguite, ma il nome di Mario, Augusta, Barbarina e Carmelina resta inciso nella memoria collettiva. Non solo nelle lapidi di un cimitero, ma nel cuore di chi ha vissuto quei giorni di sgomento e di chi, ancora oggi, tramanda quella storia con voce tremante.

Perché ci sono ferite che il tempo non cancella, ci sono nomi che restano impressi nel vento che soffia tra le colline di Gonnosfanadiga, nei racconti di chi c’era e di chi, pur non avendo vissuto quel tragico giorno, porta con sé il peso di un dolore che appartiene a tutti.

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