La Sardegna si prepara a rivedere ridisegnata, ancora una volta, la propria geografia istituzionale. Con l’ultima riforma, la mappa delle province torna a somigliare a quella di un tempo: la Città Metropolitana di Cagliari viene ampliata, nasce la nuova Città Metropolitana di Sassari, rinascono Gallura, Ogliastra e Medio Campidano come province autonome, mentre la Provincia del Sud Sardegna viene cancellata e i suoi territori smembrati tra Cagliari e la neonata provincia del Sulcis.
Una rivoluzione amministrativa definita “necessaria” dalla politica che, tuttavia, porta con sé una contraddizione enorme: il ritorno a un sistema che i cittadini avevano già bocciato con un referendum. Le otto province erano state abolite (per un ritorno alle 4 province storiche della Sardegna) proprio perché considerate enti poco utili, costosi e ridondanti. Oggi, invece, vengono reintrodotte e vengono eletti presidenti e consiglieri senza aver chiesto il parere diretto dei cittadini, ossia di chi quelle istituzioni dovrebbe sostenerle con le tasse e subirne le conseguenze in termini di gestione politica.
Non solo. Le nuove province non saranno frutto di un’elezione diretta, ma di un’elezione di secondo livello. Sindaci e consiglieri comunali voteranno presidenti e consigli provinciali (con un sistema macchinoso di “pesi” in base al numero di abitanti del paese di pertinenza di ogni consigliere) escludendo ancora una volta i cittadini dal processo decisionale. Una scelta che appare come un vero e proprio paradosso democratico: si restituisce vita a un ente che la popolazione aveva cancellato con il voto, ma si nega alla stessa popolazione il diritto di scegliere chi lo governerà.
Eppure, le province non hanno competenze marginali. A loro spetta la gestione di strade, scuole e altri servizi essenziali per la vita quotidiana dei sardi. Tra le motivazioni più forti di chi propugna la reintroduzione, c’è la vicinanza tra amministratori e territori spesso “trascurati”, data la difficoltà per aree poco popolose di eleggere rappresentanti in Regione e in Province troppo vaste. Ma se cancellare le vecchie Province era un problema, affidare queste responsabilità a rappresentanti scelti senza il consenso popolare diretto rafforza negli elettori l’idea di un sistema autoreferenziale, lontano dai cittadini, che rischia di trasformarsi nell’ennesimo “terreno di scambio politico” tra partiti e amministratori.
La provocazione è inevitabile: a cosa serve chiedere ai cittadini di esprimersi, se poi la loro volontà può essere cancellata con un tratto di penna? La rinascita delle province, così come concepita, rischia di essere percepita come un’operazione di palazzo, più utile a redistribuire poltrone (seppur a costo zero, ma sappiamo tutti che in politica “paga” anche solo la visibilità) che a garantire una reale efficienza amministrativa.
Ci auguriamo di essere prontamente smentiti dai fatti e dal lavoro trasparente di un consiglio provinciale che dovrà lavorare come organismo unitario, senza maggioranza e opposizione. La Sardegna ha bisogno di istituzioni snelle, trasparenti e vicine alle comunità. Invece, si ritrova con il fantasma di enti già “archiviati” democraticamente e che ora dovranno dimostrare di essere davvero utili ai territori di pertinenza. Sarà così? Ai posteri l’ardua sentenza.






