L’attesa per il nuovo DPCM del 18 maggio 2020, il decreto “rilancio”, ha coinvolto un po’ tutti, privati cittadini di tutte le categorie, nella speranza di un “via libera” che riguardasse da vicino la propria attività lavorativa. Hanno festeggiato molti commercianti, coloro che fino ad oggi erano costretti a tenere ancora le loro serrande abbassate. Durante la quarantena e la fase due, molti si sono fatti sentire, hanno alzato la voce, hanno ottenuto qualcosa. Altri meno. Per alcune categorie, specie che stanno al di fuori dall’ambito produttivo e commerciale, è prevalso il silenzio, l’attesa paziente e rispettosa. Ma ora accade che per alcune categorie professionali e servizi, come gli asili nidi privati, il decreto ministeriale non ha previsto praticamente nulla di concreto. A pagare sono i singoli educatori, ma anche come al solito i bambini, di cui abbiamo parlato più volte per gli effetti dell’epidemia a vari livelli (sanitario/educativo/psicologico/sociale) insieme alle loro mamme e papà.
Nessuna riapertura dei nidi nell’immediato e nessuna certezza per il futuro. Nessun provvedimento di salvataggio che copra tutto il periodo di chiusura (resterebbero infatti scoperti giugno, luglio e agosto) e che copra le spese legate a una riapertura solo “parziale” (in gruppi troppo piccoli per poter garantire la copertura di tutti i costi) o con un mutato rapporto numerico adulto-bambino, inattuabile per molte strutture. Questo, per chi lavora nell’ambito della prima infanzia significa rischiare la chiusura definitiva ora o quando questo tipo di attività potranno ripartire. Per quanto riguarda i protocolli da attuare al momento della riapertura, manca chiarezza anche su questo e c’è il rischio, avvertono le associazioni della categoria, che gli asili non potrebbero ripartire affatto alle condizioni dettate dal governo.
Gli interrogativi sono tanti: l’asilo nido non è una componente fondamentale della nostra società? A chi opera nel sistema educativo della prima infanzia non vanno garantiti eguali diritti e tutele come in altri settori? Se ripartono le attività “commerciali” o altri tipi di lavori, che ne è dei genitori di bambini piccoli, che non possono fare affidamento su questo servizio? Come si farà a contare di nuovo sempre e solo sui nonni, o sulle mamme, o magari su baby sitter in nero? Un problema dunque che riguarda non soltanto educatrici e operatori dell’infanzia, ma tutte le famiglie (soprattutto le mamme lavoratrici) di neonati e bambini al di sotto dei tre anni, dal momento che, se a causa di questa chiusura prolungata e del mancato supporto economico, buona parte di queste attività, se non quasi tutte, saranno costrette a chiudere o ad alzare in maniera spropositata le tariffe. Un disastro dunque, che riguarda centinaia di famiglie, e un decisivo passo indietro rispetto a tutte quelle “conquiste”, a quei diritti che le mamme “lavoratrici” erano riuscite a guadagnarsi grazie all’esistenza dei nidi.
A livello nazionale, le proteste cominciano dunque a farsi sentire. UnitaMente, Associazione di Nidi, Scuole di Infanzia e Servizi all’Infanzia privati, dichiara “Vogliamo riaprire in sicurezza sanitaria e fiscale. Valuteremo i protocolli, i costi che dovremo affrontare e, se saranno improponibili, organizzeremo la nostra protesta nazionale”. La stessa cosa vale per Assonidi, che nella sua pagina facebook pubblica una lettera aperta rivolta al Governo che comincia così: “Se questa è la tua decisione, se credi che gli asili e le scuole dell’infanzia debbano rimanere chiusi fino a settembre, allora devi assumerti la tua responsabilità. Devi assolutamente garantire a tutti gli operatori del comparto idonei strumenti di integrazione salariale – tra cui la cassa in deroga – fino alla riapertura. A settembre, peraltro, non so se ci saremo ancora tutti per verificare se hai fatto il tuo dovere. Sicuramente riapriremo in pochi, con strutture semi deserte e pieni di debiti. Le famiglie non potranno permettersi un nido o una scuola privati perché molti di loro, mamme e papà, come noi avranno perso il lavoro” (per la lettera integrale vedete qui).
A San Gavino Monreale a pagare il prezzo di questo “oscuramento” nazionale nei confronti del sistema educativo dell’infanzia, è l’asilo nido Abracadabra, che ospita numerosi bambini da zero a tre anni di mamme e papà lavoratrici di San Gavino Monreale.
Le educatrici Federica, Alessia e Katia avvisano su Facebook: “Vorremo poter riaprire in sicurezza e con le modalità adeguate per il benessere di tutti. Le proposte che stanno tirando fuori dal cilindro per ora sono inaccettabili, snaturerebbero il nostro lavoro”. D’altra parte, continuano, “ll nido è un luogo di relazioni , di contatto fisico, di affettività , di socialità, senza queste prerogative viene snaturato della sua essenza. Abbiamo sempre lavorato cercando di offrire qualità e mettendo al primo posto il benessere del bambino ma a queste condizioni non è possibile farlo, se non si uscirà presto da questa situazione chi ne pagherà le spese saranno proprio i bambini, a questa età la socialità è molto importante, se vengono privati di questo ci chiediamo quali saranno le ripercussioni psicologiche”. Cosa possiamo fare per loro, per i nostri bimbi, per i genitori che hanno ripreso o vorrebbero riprendere le loro attività? “Per lo stato – continuano le educatrici di Abracadabra – i bambini nella fascia d’età 0-3 non esistono. Le famiglie hanno bisogno di noi. L’educazione è un bene della collettività. Siamo disponibili a ripensare i nostri servizi, ma a ripensarli in un ottica migliorativa, di qualità, non vogliamo svalutarli e svalutarci.”
Quali sono le soluzioni, alternative magari e diverse dal passato, ma valide sotto tutti i punti di vista, perché anche quest’importante settore possa continuare a funzionare garantendo lo stesso servizio in tutta sicurezza?
La.F.