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sabato, 18 Maggio 2024

Cannabis light e legge italiana: un rapporto difficile

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Con l’introduzione di una legge che mira a rivitalizzare la produzione nazionale di canapa Industriale, il mercato legati ai derivanti della canapa ha visto una forte espansione in tutti i sensi. Oltre alla canapa come materiale per fini industriali, infatti, è nato un intero settore merceologico legato alla vendita al dettaglio di prodotti derivanti da canapa, il tutto nell’ottica della cosiddetta cannabis light.

Cos’è la cannabis light e perché sta creando un chiacchiericcio grande abbastanza da far passare in secondo piano tutto il discorso legato alla canapa utilizzata come elemento psicoattivo? La risposta a questa e molte altre domande tutte all’interno di questo articolo.

Che cos’è la Cannabis light?

Per Cannabis Light, o CBD, si intende tutta una serie di prodotti provenienti da piante di canapa in cui la percentuale di THC è inferiore 0.2%. Questo perché il THC è il cannabinoide psicoattivo presente all’interno della canapa e lo 0.2% la soglia limite sotto cui non ci sono effetti psicoattivi tangibili.

La pianta di canapa integra al suo interno una vasta gamma di cannabinoidi tra cui anche il cannabidiolo, riconoscibile proprio dalla sigla CBD. Quest’ultimo sta venendo studiato scientificamente come possibile palliativo per un sacco di sintomi diversi, complice la sua azione sul sistema endocannabinoide del corpo.

Secondo le ricerche il CBD ha un sacco di potenziale quando si parla di trattare infiammazioni, dolori, stress, ansia, disturbi del sonno e molto altro ancora. Alcune ricerche più avanzate stanno ipotizzando i possibili utilizzi del principio attivo anche in forme tumorali grazie alla sua capacità di rallentare la propagazione delle metastasi.

L’assunzione del CBD è possibile con moltissime forme diverse: dall’utilizzare i MagicVaporizers alle capsule, passando poi per caramelle gommose, integratori alimentari generici, oli e cristalli purissimi (per gli esperti).

Tutto questo, però, non ha univocamente incontrato il favore del governo italiano specie prima della pandemia.

Tra politica e (in)giustizia

Durante il corso del 2019 la più alta corte italiana stabilii l’illegalità del vendere prodotti derivanti dalla canapa a causa dell’eventuale sballo da questi derivante. Questo perché alcuni test avevano indicato alcuni dei prodotti in vendita come dotati di abbastanza THC da generare effetti psicoattivi. La risposta, piuttosto secca e diretta complice le posizioni politiche dell’allora ministero degli interni, fu quella di provare a chiudere tutto a livello nazionale.

Questo, chiaramente, non ha incontrato l’appoggio degli imprenditori con esempi di disobbedienza civile e titolari incatenati alle porte del proprio negozio. La situazione in questione, all’epoca, fece molto parlare di sé perché sottolineava l’incredibile distanza di posizioni tra la civilissima Italia e l’incivile America, quest’ultima piena di armi e assassini ma capace di comprendere le potenzialità della cannabis light.

L’Italia, a tal proposito, ha dimostrato all’epoca di essere un vero e proprio fanalino di coda per l’intera unione europea, specie anche in merito all’utilizzo del CBD in ambito medico in qualsiasi forma. All’interno di uno stato assistenzialista con la sanità pubblica, diverse sono state le lamentele in merito alla qualità e ai prezzi delle forniture.

Una curiosa cecità selettiva

Tra tutte le cose che sono accadute in merito al rapporto tra Italia e cannabis light, una delle più curiose era la presenza (pre-2016) di un limite nazionale al THC fissato allo 0.6%. Parliamo di una percentuale più alta rispetto alla media europea che teneva ampiamente conto delle variazioni naturali derivanti dal processo di coltivazione, dando quindi spazio di manovra agli imprenditori per la gestione del proprio prodotto.

Anche all’epoca le differenze tra cannabis light e cannabis americana erano immense; gli stati uniti, complici la legislazione federale, potevano vantare erbe con un medio contenuto di THC: abbastanza per generare effetti psicoattivi di qualche tipo. In Italia ciò non solo non è mai stato possibile (perché lo 0.6% di THC riesce a dare solo blandissimi effetti psicoattivi) ma a un certo punto è diventato assolutamente impossibile anche solo da pensare.

La stabilità non è mai stato il forte del rapporto tra CBD e legge Italiana e un altro esempio è dato dall’incertezza derivante dalla decisione datata 2019 della corte di cassazione. Questa, infatti, stabilì in maniera arbitraria come il limite di THC previsto per legge fosse inapplicabile ai prodotti derivati dalla cannabis ma associabile unicamente alla pianta durante il processo di coltivazione. Di fatto questo ha portato la polizia ha condurre sequestri e test sui negozi di cannabis light, creando uno scompiglio mai visto prima.

Fortunatamente la situazione negli anni successivi, specie post pandemia, si è alleggerita: sostenuto da un’opinione pubblica sempre più positiva e da una domanda di mercato che non tende a conoscere stati di fermo, il mondo della CBD in una maniera o nell’altra riuscirà a districare le maglie della legislazione Italiana trovando il suo posto in maniera sempre più netta all’interno dell’economia nazionale.

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